[ Pobierz całość w formacie PDF ]
dovevo venirne a capo con urgenza, non l'avevo sentito.
«E' vero che Otto ha mangiato il veleno?».
«No, non è vero».
«Me l'ha detto Ilaria».
«Ilaria racconta storie».
«Mi fa male qui» sospirò mostrandomi la nuca, il collo, «mi fa molto male, ma non la
voglio la supposta».
«Non te la do, devi solo prendere queste gocce».
«Mi fanno vomitare di nuovo».
«Con le gocce non vomiti».
Bevve a fatica l'acqua, ebbe un conato di vomito, si abbandonò sul cuscino. Gli sentii
la fronte, bruciava. Mi sembrò insopportabile la sua pelle secca, rovente come una
sfoglia di torta appena sfornata. Mi sembrò insopportabile il martellio di Ilaria, anche
a distanza. Erano colpi energici, rimbombavano per tutta la casa.
«Cos'è?» chiese Gianni spaventato.
«Il vicino fa lavori».
«Mi dà fastidio, va' a dirgli di smettere».
«Va bene» lo rassicurai e poi lo costrinsi a tenere il termometro. Acconsentì solo
perché me lo abbracciai forte con tutt'e due le braccia e me lo tenni contro.
«Il mio bambino» gli cantarellai cullandolo, «il mio bambino malato che ora
guarisce».
In pochi minuti, malgrado i colpi persistenti di Ilaria, Gianni si addormentò, ma con
le palpebre che non chiudevano del tutto, un orlo roseo, un filo biancastro tra le
ciglia. Allora attesi un altro poco, in ansia per il suo respiro troppo fitto e la mobilità
delle pupille che si intuiva sotto le palpebre; poi gli tolsi il termometro. Il mercurio
era schizzato in alto, quasi quaranta.
Poggiai il termometro sul comodino con disgusto, come se fosse vivo. Deposi invece
Gianni sul lenzuolo, sul cuscino, fissandogli il foro rosso della bocca, spalancata
come se fosse morto. I colpi di Ilaria mi martellavano il cervello. Ritornare in me,
rimediare al mal fatto della notte, del giorno. Sono i miei figli, pensavo per
convincermene, sono le mie creature. Per quanto Mario li avesse fatti con chissà
quale donna che si era immaginato; per quanto io invece mi fossi creduta Olga
facendoli con lui; per quanto mio marito adesso attribuisse senso e valore solo a una
ragazzina di nome Carla, altro suo abbaglio, e non riconoscesse in me nemmeno il
corpo, la fisiologia che mi aveva attribuito per potermi amare, inseminare; per quanto
io stessa non fossi mai stata quella donna e nemmeno - ora lo sapevo - l'Olga che
avevo creduto di essere; per quanto, oddiomio, fossi solo un insieme sconnesso di
lati, una foresta di figure cubiste ignota anche a me stessa, quelle creature erano mie,
le mie creature vere nate dal mio corpo, questo corpo, ne avevo la responsabilità.
Perciò, con uno sforzo che mi costò una fatica al limite del sopportabile, mi levai in
piedi. E' necessario che mi riprenda, che capisca. Riattivare subito i contatti.
28.
Dove avevo messo il cellulare? Il giorno che l'avevo sfasciato, dove ne avevo
conservato i pezzi? Andai in camera da letto, frugai nel cassetto del mio comodino,
era lì, due metà di colore viola, separate.
Pur non sapendo nulla della meccanica di un cellulare, probabilmente proprio per
quello mi volli convincere che non era affatto rotto. Esaminai la metà che aveva il
display e la tastiera, premetti il pulsante dell'accensione, non accadde nulla. Forse, mi
dissi, bastava incastrare insieme le due parti per farlo funzionare. Armeggiai per un
po', disordinatamente. Rimisi a posto la pila che era fuoriuscita, provai a far
combaciare i pezzi. Scoprii che le due parti erano schizzate via l'una dall'altra perché
il corpo centrale si era spaccato, scheggiata la scanalatura per l'incastro.
Fabbrichiamo oggetti a somiglianza del nostro corpo, un lato congiunto all'altro. O li
progettiamo pensandoli uniti come noi ci uniamo ai corpi desiderati. Creature nate da
una fantasia banale. Mario - mi sembrò all'improvviso - malgrado il successo nel suo
lavoro, malgrado le competenze e l'intelligenza sveglia, era un uomo di fantasia
banale. Forse proprio per questo avrebbe saputo restituire al cellulare la sua
funzionalità. E così avrebbe salvato il cane, il bambino. Il successo dipende dalla
capacità di manipolare l'ovvio con precisione di calcolo. Non mi ero saputa adattare,
non mi ero saputa piegare allo sguardo di Mario fino in fondo. Avevo provato, da
ottusa che ero mi ero finta ad angolo retto, ero riuscita a strozzare persino la mia
vocazione a passare di fantasia in fantasia. Non era stato sufficiente, lui si era ritratto
comunque, era andato a congiungersi più saldamente altrove.
No, smetterla. Pensare al cellulare. Trovai nel cassetto un nastro verde, legai insieme
le due metà ben strette e provai a premere il tasto dell'accensione. Niente. Sperai in
una sorta di magia, provai a sentire se c'era linea. Niente, niente, niente.
Abbandonai l'apparecchio sul letto, logorata dal martellare di Ilaria. Poi in un lampo
mi venne in mente il computer. Come avevo fatto a non pensarci. Colpa di com'ero
fatta, sapevo poco, l'ultima verifica che mi restava. Andai in soggiorno, mi mossi
[ Pobierz całość w formacie PDF ]