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MetroHartford non aveva tenuto conto del suo avvertimento, ma lui l'ave-
va già previsto, in anticipo. In realtà, non era così importante. Non stavol-
ta. Lui anzi ci contava, voleva che l'FBI e Cross venissero coinvolti nella
vicenda.
Alla fine decise di lasciare l'Hilton. Si avviò verso il Renaissance Ma-
yflower:
la scena dell'orripilante crimine.
Quello era il luogo dove si sa-
rebbe svolta l'azione.
Ed era lì che il Mastermind voleva trovarsi. Per godersi lo spettacolo.
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I rapitori si fecero finalmente vivi coi dirigenti della MetroHartford al-
l'una e dieci. All'ora stabilita mancavano ormai solo trentacinque minuti.
Sapevamo perfettamente che cosa sarebbe accaduto se non avessimo ri-
spettato il termine. O se a ritardare fossero stati i rapitori, pur facendolo
di proposito.
Betsey e io ci precipitammo al Mayflower Hotel. Approfittammo di due piccoli
particolari, che però, a giudicare da come si stava configurando la
situazione, acquistavano una certa importanza. Uno consisteva nel fatto che
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l'uscita di servizio delle cucine dava in uno stretto vicolo utilizzato per il
carico e scarico delle merci. Era lì che, durante il ricevimento per festeg-
giare l'elezione di Clinton a presidente degli Stati Uniti, gli uomini del
Servizio segreto avevano parcheggiato le loro vetture. Noi ce ne servimmo per
entrare nell'albergo senza essere notati. Il secondo particolare riguar-
dava la scoperta fatta dagli agenti dell'FBI a proposito del locale in cui si
stava tenendo la riunione della dirigenza della MetroHartford, e cioè che la
Sala cinese aveva una caratteristica unica, potenzialmente molto utile per
noi: proprio alle sue spalle una stretta scala metallica conduceva a una pas-
serella sopra il soffitto a cupola, nel quale si aprivano piccole feritoie che
ci avrebbero consentito di guardare e ascoltare senza essere visti.
Betsey e io raggiungemmo di corsa la passerella e ci accovacciammo sopra la
sala della riunione. Avremmo potuto prendercela anche un po' più
comoda, perché la telefonata dei rapitori era ancora in corso.
«A questo punto noi diamo per scontato che l'FBI e forse anche la poli-
zia di Washington siano stati coinvolti.» Le parole di uno dei rapitori si
diffusero dal vivavoce che si trovava nella Sala cinese. «Ma non abbiamo nulla
da obiettare. Ce l'aspettavamo. Anzi, diamo il benvenuto ai federali.
Vi avevamo contemplati nel nostro piano.»
Betsey e io ci scambiammo un'occhiata. Il Mastermind ci stava facendo fare una
brutta figura. Perché? Scendemmo a precipizio la scaletta e rag-
giungemmo gli altri nella Sala cinese. La mia mente turbinava di domande.
Il Mastermind era abilissimo nel farci vacillare il terreno sotto i piedi. Fin
troppo abile.
«Come prima cosa, ripeterò le nostre richieste per la consegna del dena-
ro», proseguì la voce distorta che usciva dal vivavoce. «È importante. Vi
prego di seguire alla lettera le istruzioni. Come già sapete, cinque dei tren-
ta milioni di dollari devono essere in diamanti grezzi. Le pietre dovranno
essere poste in una sacca da viaggio di tela. Le altre borse, sempre dello
stesso tipo, in cui sarà messo il contante, non dovranno essere più di otto.
Le banconote dovranno essere in tagli da venti dollari e da cinquanta; nes-
sun biglietto da cento. Niente coloranti, né altri contrassegni di alcun gene-
re. Ora con chi sto parlando?»
Betsey si avvicinò al vivavoce. Io la seguii. «Sono l'agente speciale Eli-
zabeth Cavalierre. L'FBI ha affidato a me questo caso.»
«Io sono Alex Cross, della polizia di Washington, collaboratore del-
l'FBI.»
«Va bene. Ho già sentito i vostri nomi, sono al corrente della vostra re-
putazione. Il denaro è pronto, come richiesto?»
«Sì. Banconote e diamanti sono qui, al Mayflower», rispose Betsey.
«Ottimo! Ci metteremo in contatto.»
Udimmo il clic del ricevitore che veniva riagganciato.
L'amministratore delegato della MetroHartford ebbe uno scatto di rab-
bia. «Sanno che siete qui! Oh, Cristo, che cosa abbiamo fatto! Uccideranno
tutti gli ostaggi!»
Gli posai una mano ferma sulla spalla. «Si calmi, la prego. Il riscatto
corrisponde esattamente a quanto da loro richiesto?» gli domandai.
Annuì. «Alla lettera. Stiamo aspettando i diamanti da un momento all'al-
tro. Quanto alle banconote, sono già qui. Noi stiamo facendo la nostra par-
te. E i vostri uomini che cosa stanno combinando?»
Continuai a parlargli tenendo basso il tono della voce. «E nessuno della
MetroHartford è al corrente di qualche indiscrezione sul luogo di consegna dei
soldi e dei diamanti? È molto importante.»
Sul volto dell'amministratore delegato si dipinse un'espressione atterrita, e
non gli si poteva dare torto. «Ha sentito quell'uomo al telefono. Ha detto che
si sarebbe messo in contatto.
No, noi non sappiamo nulla sul posto in cui andranno consegnati soldi e
diamanti.»
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«Questa è una buona notizia, Mr. Dooner. Loro si stanno comportando da
professionisti e questo vale anche per noi. Non credo che, almeno fino-
ra, abbiano fatto del male a qualche ostaggio. Aspetteremo la prossima te-
lefonata. Per loro il momento dello scambio è il più difficile.»
«Mia moglie è su quel pullman», sussurrò Dooner. «E anche mia figlia.»
«Lo so», replicai. «Lo so.»
E sapevo anche che il Mastermind sembrava provare gusto nello sfascia-
re le famiglie.
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Non potevamo certo essere accusati di non aver fatto tutto il possibile, ma
per il momento eravamo alla mercé dei rapitori e il nostro tempo stava quasi
per scadere. I minuti passavano. E molto in fretta.
Nessun velivolo aveva individuato il pullman turistico, il che significava che
l'automezzo era stato fatto sparire rapidamente oppure che, cosa quan-
to mai probabile, i sequestratori avevano cambiato l'indicatore alfanumeri-
co sul tetto. Neppure gli elicotteri dell'esercito dotati di dispositivi in
grado di seguire le tracce di calore avevano rilevato alcunché. All'una e
venti, nella Sala cinese del Mayflower giunse un'altra telefonata. Era la
stessa voce gracchiante, meccanicamente distorta.
«È arrivato il momento di muoversi. Al banco della reception c'è un pacchetto
per Mr. Dooner. Vi troverete alcuni Handie-Talkie. Prendeteli tutti.»
«E ora che succede?» chiese Betsey.
«Ora succede che noi diventiamo ricchi. Invece voi dovete caricare le
banconote e i diamanti in un furgoncino e dirigervi a nord di Connecticut
Avenue. Se devierete dal tragitto che vi indicherò, un ostaggio sarà ucci-
so.»
La comunicazione s'interruppe.
Noi avevamo un furgoncino parcheggiato nel vicolo alle spalle delle cu-
cine dell'albergo. I rapitori ne erano al corrente. Ma come facevano a sa-
perlo? Che cosa potevamo dedurre da quel fatto? Betsey Cavalierre, io e altri
due agenti ci precipitammo in strada e, saliti sul furgoncino, ci diri-
gemmo verso Connecticut Avenue.
Stavamo ancora percorrendo quell'arteria quando il mio Handie-Talkie entrò in
funzione. «Handie-Talkie» è il termine usato dagli agenti federali per
indicare i walkie-talkie. Anche il rapitore al telefono li aveva chiamati
così. Che cosa significava quell'indizio? Ma lo era davvero, un indizio? O [ Pobierz caÅ‚ość w formacie PDF ]

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